"La Fine del Lavoro"- Intervista a Jeremy Rifkin - Regole e organizzazione del mercato del lavoro - CSSPD - Centro Studi Sociali Pietro Desiderato


"La Fine del Lavoro"- Intervista a Jeremy Rifkin

Nel corso della IDC European IT Conference svoltasi a  Parigi, abbiamo intervistato, per il Centro Studi Pietro Desiderato,  il famoso economista americano autore di vari trattati relativi al mondo del Lavoro. Rifkin ci annuncia in anteprima la prossima pubblicazione della versione “revised”  del suo Best Seller edito nel 1995 “La fine del Lavoro”.


PARIGI, 27 settembre 2005

Mister Rifkin, nel suo  libro “La Fine del Lavoro” lei disegna un futuro piuttosto triste per l’umanità in cui si prospetta una forte precarizzazione del lavoro soprattutto per le persone più povere e soggette al Digital Divide: tutti coloro cioè che non hanno gli strumenti e le conoscenze per accedere alla nuova rivoluzione industriale.
Pensa che qualcosa sia cambiato negli ultimi dieci anni?


Credo che dipenda da come sia stato letto il libro,  in effetti io oggi penso che il mio libro debba essere considerato un trattato relativo al trionfo storico della tecnologia che ha liberato o sta liberando l’uomo dalla schiavitù, nel senso che non avremo più bisogno di  “asservire” o “essere asserviti”  per produrre beni o servizi. 
Basta osservare cosa è avvenuto fino ad oggi, in particolare all’inizio dell’era industriale.


Ma mr. Rifkin, il problema è che i nuovi lavori “precarizzati”, anche se specialistici, producono redditi più bassi dei precedenti.

E’ vero, anche la disoccupazione è ancora alta ma è perché siamo di fronte ad un cambiamento strutturale della società. Già nel periodo della prima rivoluzione industriale, usare vapore e carbone era più economico dell’utilizzo delle braccia degli schiavi.
Le nuove tecnologie, l’Information Technology, le Biotecnologie, le Nanotecnologie decreteranno la fine del lavoro di Massa e della schiavitù di massa durati diecimila anni.

Verranno creati nuovi skills, nuove merci, nuovi servizi, ma non avremo bisogno del lavoro di massa per creare ciò,  perché il più economico lavoratore al mondo non sarà mai così “economico” rispetto alla tecnologia che lo andrà a sostiturire.

Le faccio un esempio che in questi ultimi mesi sta veramente toccando anche voi italiani: la Cina. Gli europei e gli americani si lamentando perchè tutte le attività manufatturiere si stanno trasferendo in Cina. Vero, ma quello che pochi se non pochissimi imprenditori sanno è che i cinesi hanno eliminato in questi ultimi sette anni il quindici per cento dei posti di lavoro nel settore.

Dove sono andati a finire tutti questi posti, in un altro paese più povero?

NO, sono letteralmente scomparsi dalla faccia della terra, grazie all’automazione. Perché anche il più malpagato lavoratore cinese è più costoso dell’ultima, la più innovativa tecnologia automatica.
Quello che io dico è che bisogna ripensare lo stesso concetto di Lavoro.

Nella mia nuova edizione de “La fine del Lavoro” di prossima  pubblicazione, ho tutta una serie di nuove idee e proposte in merito. Dalla riduzione delle ore lavorative settimanali ad un’economia basata sull’Idrogeno che possa creare milioni di posti di lavoro e spostare molte attività sulle logiche della Società Civile, sul No-Profit.

Deve sapere che già oggi il 52% del reddito prodotto da aziende no-profit deriva dall’incasso di tariffe per l’erogazione di servizi. E non stiamo parlando di filantropia o intervento dello Stato,  stiamo parlando di un meccanismo denominato “fees for services” dove viene sì richiesto un prezzo per il servizio ma l’organizzazione che lo fornisce non ha fini di lucro, e tale organizzazione ha dipendenti e crea nuovi posti di lavoro.

Così come le politiche fiscali e monetarie oggi stimolano il Mercato dei Capitali, io penso che in futuro le stesse politiche potranno o dovranno stimolare il Mercato del Sociale.
E’ necessario costruire una nuova Società Civile in cui la logica del no-profit raggiunga l’autosufficienza ed inizi a creare milioni di nuovi posti di lavoro in particolare nel Terzo Settore.

Oggi abbiamo quindi i tre settori economici: il Settore Privato, il Pubblico ed il cosiddetto Terzo Settore quello del no-profit della Civil Society.

Ed è in questo che dobbiamo investire, perché nel Terzo  Settore non potranno mai essere usate le macchine!

Stiamo parlando di Religione, Cultura, Filosofia, Sport, Sociale, Associazionismo.

L’Italia è piuttosto forte in questi settori!

Sicuramente, penso ad esempio alle vostre ACLI eccetera: l’Italia è così forte nell’organizzazione della Società Civile, sia al Nord che al Sud, con questo modello ce la potrete sicuramente fare.

Ringraziamo Jeremy Rifkin per il tempo concesso ed IDC per l’accreditamento garantito.


Pietro Gentile