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Responsabilità Sociale d'Impresa

Quali strategie nelle banche. Teoria, prassi e questioni aperte, presentate in un documento a cura di Mauro Bossola, Segretario Nazionale della Federazione Autonoma Bancari Italiani.

 

di Mauro Bossola

La Corporate Social Responsability (CSR) o Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), è al centro di un vivace dibattito politico-economico sia in Europa che a livello mondiale e diverse sono state le iniziative intraprese per la sua diffusione ed il suo rafforzamento.

L’ONU ha lanciato nel 1999 un’iniziativa chiamata Global Compact, un decalogo ad adesione volontaria, che richiede alle aziende di applicare una serie di principi che riguardano il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori, la protezione ambientale e la lotta contro la corruzione.

L’OCSE si è dedicata specificamente a costruire linee guida per le imprese multinazionali, mentre la Commissione Europea nel Libro Verde del 2001 ha esplicitamente introdotto la RSI come “integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle operazioni commerciali delle imprese nei loro rapporti con le parti interessate… nell’ambito di un approccio globale della qualità e dello sviluppo sostenibile”.

Le imprese stesse si affidano spesso in via autonoma a codici taciti genericamente riferiti allo stile o alla cultura di impresa ed adottano determinate  strategie e scelte anche sulla base di valori etici, cioè di valori condivisi, non sempre tangibili o esplicitati fino in fondo, ma non per questo meno vincolanti.

E’ quindi molto difficile affrontare compiutamente e soprattutto correttamente il tema della Responsabilità Sociale d’Impresa senza fare riferimento esplicito al concetto di etica.

La RSI è appunto un codice generale di comportamento folto di richiami all’etica; un insieme di principi specifici circa il modo di trattare correttamente, oltre agli azionisti, tutti coloro che per vari motivi sono interessati all’attività di impresa, perché in essa “tengono una posta in gioco” (che è il significato letterale dell’inglese stakehoder).

D’altra parte, è opinione comune che una certa “dose” di responsabilità sociale possa costituire motivo di successo di un’azienda, indipendentemente dal presupposto  etico che ne è alla base.

Una buona valutazione delle performance sociali di un’impresa può esser considerata un indicatore di buon management complessivo e diventare un driver per la creazione di valore, non perché ciò risponda ad un bisogno di moralità nell’agire aziendale ma per ridurre i rischi ed aumentare la capacità di cogliere nuove opportunità.

Per esempio, una gestione attenta e avanzata delle risorse umane è applicata perché soddisfa il principio etico di rispetto del lavoro o perché si è convinti che le imprese con un buon clima interno abbiano maggiori probabilità di successo e si rivelino quindi più profittevoli?

Probabilmente, anche se in misura diversa, per entrambi i motivi.

Ora, poiché tutti gli attori economici puntano a massimizzare il raggiungimento dei loro obiettivi, il problema è se la dimensione della responsabilità sociale è integrata nella missione dell’organizzazione, oppure se essa viene vissuta come una limitazione, di cui tenere conto per il raggiungimento dei propri (altri) obiettivi ritenuti fondamentali.

L’impresa etica non è quindi tale nel senso che si contrappone ad altre imprese non etiche, ma nel senso che pone la questione etica al centro della propria missione.

Non c’è quindi uno scontro tra imprese buone e imprese cattive, ma esistono aziende che si fanno carico di una visione di sviluppo orientata alla sostenibilità, intesa come integrazione tra dimensione economica (convenienza), ambientale (compatibilità) e sociale (equità).

Se queste aziende virtuose non sono percepite come la maggioranza del mondo dell’imprenditoria da parte della maggioranza della pubblica opinione, ciò si deve soprattutto ai nuovi paradigmi di politica aziendale che si sono diffusi, in tutto il mondo, negli ultimi vent’anni.

Per leggere il documento completo:


311006_seminario_CSR.pdf