Misure della povertà e politiche per l'inclusione - Interventi contro la povertà - CSSPD - Centro Studi Sociali Pietro Desiderato


Misure della povertà e politiche per l'inclusione

Essere poveri, ritrovarsi più poveri e sentirsi poveri. Ogni situazione di disagio comporta differenti livelli di esclusione sociale perché la povertà non è mai un fatto meramente economico. Riuscire a quantificare il grado di povertà, significa dunque saper combinare i dati sulla povertà oggettiva con quelli sulla povertà soggettiva permette di specificare ulteriormente sia le dinamiche attraverso cui si manifesta il problema della indigenza sia la necessaria flessibilità delle misure per contrastarla al fine di riportare nell’alveo della società individui e, sempre più spesso, famiglie che stanno scivolando più o meno consapevolmente verso la soglia della povertà e, di conseguenza, dell’esclusione sociale.

Proprio con lo scopo di misurare la povertà ma soprattutto di formulare proposte e misure per combattere questa estensione della vulnerabilità economico sociale, la Commissione ministeriale di indagine sull’esclusione sociale, presieduta dal professor Giancarlo Rovati ha organizzato una due giorni di studio in Cattolica (19-20 novembre 2004) Misure della povertà e politiche per l’inclusione sociale, chiamando a convegno numerosi esperti che hanno contribuito a comporre, tessera dopo tessera, il quadro di quell’"allarme povertà" più volte rilanciato da qualche tempo a questa parte sull’opinione pubblica.

Diminuzione del potere di acquisto, consumi, inflazione, competitività, tenore di vita, redistribuzione del reddito, è chiaro che la miseria, o se preferiamo la povertà assoluta, è ben altra cosa, e tuttavia in base ai dati Istat i fenomeni sopra citati sono di grande importanza economica e sociale, perché coinvolgono circa 6,7 milioni di individui, il 10,6% delle famiglie italiane costrette a fare i conti con sempre meno buchi su una cinghia da stringere. In realtà in base ai dati utilizzati dal prof. Rovati, è confermata una sostanziale stabilità della povertà, delle famiglie sicuramente povere, quelle appena o quasi povere. Il che non deve essere visto come un dato molto confortante perché se è vero che l’impoverimento delle famiglie non ha fondamento è vero che le tradizionali caratteristiche della povertà non accennano a diminuire a dispetto delle politiche per l’inclusione sociale adottate a partire all’Agenda di Lisbona del 2000.
Famiglie numerose (con cinque o più componenti), minori, anziani, ma anche famiglie con un solo genitore sono le fasce più colpite dalla povertà relativa e rimangono quelle più a rischio, con livelli di povertà superiore alla media. Invariate sono anche le differenze tra Centro-Nord e Sud alle quali si aggiungono importanti diversità addirittura da Regione a Regione anche in conseguenza del passaggio delle competenze in materia di politiche sociali alle Regioni.

Le differenze tra povertà oggettiva – misurata dalle linee standard - e soggettiva (percepita dai singoli), diventano ancor più significative qualora le si cali sul territorio: curioso ad esempio come solamente al Nord le famiglie che si considerano povere siano in realtà molte di più (7,7%) di quelle che figurano come oggettivamente povere (5%). Un segnale che se da un lato va spiegato: "Nelle regioni più ricche il sentimento di deprivazione relativa delle famiglie risulta più alto, non solo perché le loro aspettative sono più elevate, ma anche perché esse si confrontano con costi e livelli di consumo più elevati rispetto ai valori nazionali", dall’altro comporta delle conseguenze: "In varie regioni la povertà relativa risulta sottostimata per effetto dell’uso della linea di povertà nazionale, la quale non riesce a tener conto del differente costo della vita esistente tra le diverse aree economico-territoriali del nostro paese". Da qui la necessità di "adottare parametri regionali aggiuntivi (dunque non sostitutivi) che permetterebbero una stima più fedele della parte di popolazione che incontra difficoltà ad arrivare a fine mese e fornirebbe termini di confronto più realistici per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche già intraprese o in corso di realizzazione".


Un senso di precarietà che coinvolge direttamente le politiche sociali di contrasto della povertà. Sonia Prevedello, direttore generale del fondo nazionale delle politiche sociali del ministero del welfare, intervenuta in rappresentanza del Ministro del Welfare Roberto Maroni, ha così tracciato le linee guida per le politiche del lavoro: "...E’ un errore considerare la povertà, assoluta o relativa, solo come un fattore di disagio prettamente economico. I suoi risvolti sociali si traducono in un allontanamento dal tessuto relazionale che può comportare la perdita del lavoro, la dissoluzione della famiglia fino a ripercussioni sulla salute. In uno "stato del benessere" la dimensione lavorativa è indispensabile per costruire un tessuto di relazioni sociali e favorire il processo di integrazione". "Dal punto di vista normativo - continua Prevedello -, il cammino per adeguare il nostro paese agli standard dell’Unione Europea è ancora lungo. Il Governo sta studiando il decreto di attuazione per il raggiungimento di un "reddito di ultima istanza": si tratta di un sostegno economico, introdotto dalla Finanziaria 2004, per le famiglie i cui componenti risultano disoccupati e con un reddito inferiore al livello minimo vitale stabilito dai criteri Istat. Si tratterà di stabilire dei metodi più idonei per misurare la povertà, e di adottare in sede comunitaria degli indicatori comuni per comparare le politiche sociali dei doversi paesi dell’Unione Europea".