Azionariato dei dipendenti e profit-sharing

Le recenti direttive dell’Unione Europea spingono verso un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nelle vicende delle aziende.

Dalla direttiva sullo statuto della società europea (SE), cioè sulla futura società di diritto europeo (2001/86/CE) che rende vincolanti i diritti di coinvolgimento e regola la partecipazione dei lavoratori, fino a quella più recente (2002/14/CE) sull’informazione e la consultazione dei dipendenti.

Paradossalmente, sono proprio le difficoltà in cui versano molte delle economie dei Paesi europei a indurre la UE a prendere queste iniziative; non vi è dubbio infatti che con l’aumentare della concorrenza anche il rischio imprenditoriale aumenti e che parte di questo rischio ricada, sia pure in misura e tempi diversi, sui lavoratori dipendenti.

Può essere utile che i lavoratori abbiano i loro rappresentanti negli organi di governo delle imprese? E che partecipino alla individuazione delle strategie, all’esercizio del controllo, fino all’attività di gestione?

La direttiva sullo statuto della SE tenta di rispondere a questi quesiti rafforzando in modo deciso il diritto dei lavoratori  ad essere consultati e prevede uno specifico organismo di rappresentanza che è chiamato ad esprimere pareri obbligatori in tutte le situazioni che coinvolgono l’interesse dei lavoratori, dalle delocalizzazioni alle fusioni, ai licenziamenti collettivi, alle chiusure di impianti, alle cessioni di rami d’azienda.

Il dibattito è approdato anche in Italia in occasione della riforma del diritto societario (cosiddetta riforma Vietti) e si potrà ulteriormente sviluppare rispetto alla discussione sul testo unificato delle proposte di legge di promozione della partecipazione dei lavoratori nella gestione dell’impresa, all’esame delle Commissioni Parlamentari.

Secondo i dati della tabella allegata, l’Italia è il fanalino di coda tra i Paesi europei in fatto di azionariato dei dipendenti e di schemi di partecipazione agli utili.