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Rassegna Stampa Estera

Stranieri in casa nostra

Cinque milioni con cui fare i conti
di Francesco Daveri
Università Bocconi Editore - Ottobre 2010
pp. 192 - Euro 20,00
 
 
 
 
Il libro di Francesco Daveri evidenzia un fenomeno permanente e difficilmente arginabile con le strette e con lo sviluppo dei paesi d'origine. Le soluzioni sono incentivi intelligenti e integrazione dalla scuola
 
Gli stranieri in Italia sono 5 milioni, l’8% della popolazione. Erano un milione nel 1996, sono aumentati del 400% tra il 2000 e il 2008 e hanno contribuito alla rivoluzione demografica che ha riportato la popolazione italiana a tassi di crescita da anni Cinquanta. Nel 75% dei casi svolgono un lavoro regolare e non pesano più degli italiani sul sistema di welfare. Le loro rimesse verso i paesi di origine, nel 2008, ammontavano a 6 miliardi di euro.
Ma questo è solo un lato della medaglia per l’economista Francesco Daveri che, nel suo Stranieri in casa nostra. Immigrati e italiani tra lavoro e legalità (Università Bocconi editore, 2010, 192 pagine, 20 euro), racconta anche di una presenza troppo concentrata dal punto di vista dell’insediamento (per l’85% al Centro-Nord) e dei paesi d’origine (Romania, Marocco, Albania, Cina e Ucraina pesano per oltre la metà del totale) e di tassi di criminalità più alti di quelli degli italiani, anche se collegati per il 75% a una condizione di clandestinità, che riguarderebbe oggi circa 500.000 persone.
 
Lo racconta alternando in modo godibile statistiche ed esempi di cronaca e riesce nell’intento di far comprendere, prima di tutto, la natura permanente del fenomeno migratorio moderno. Mentre il 73% degli italiani emigrati in America tra il 1907 e il 1911 tornarono poi a casa, questa eventualità è rarissima ai giorni nostri.
Riesce, in secondo luogo, a far capire che ci si può attendere solo una lieve attenuazione dei flussi dagli sforzi di sviluppare i paesi d’origine degli immigrati, e solo nel lungo periodo.
 
Riesce, infine, a mostrare l’inutilità delle soluzioni legate all’irrigidimento delle norme. Daveri suggerisce che il recente calo della criminalità potrebbe essere dovuto all’attenuazione degli effetti perversi dell’indulto più che alla stretta sugli stranieri ed evidenzia il circolo tutt’altro che virtuoso tra irrigidimento, istituzionalizzazione dell’irregolarità, crescita della criminalità, sanatoria e ulteriore stretta. Ritiene, invece, che gli immigrati vadano esposti agli incentivi giusti. Se il nostro paese è tra i peggiori in Europa per chi vuole fare impresa ed è percepito come il più permissivo verso la criminalità attirerà più facilmente un delinquente che un imprenditore. Una prova indiretta che una selezione avversa è in moto è il fatto che il reddito medio dei paesi da cui provengono gli immigrati italiani è un terzo di quello degli immigrati che hanno scelto Germania e Regno Unito e, nell’ambito della stessa comunità nazionale, gli immigrati in Italia sono meno istruiti degli altri (tra gli albanesi d’Italia l’analfabetismo è doppio rispetto agli albanesi di Spagna).
Insomma, se ci sono poche speranze di arginare i flussi, avere meno stranieri a casa propria significa integrare meglio quelli che ci sono. Dal momento che i peggiori risultati scolastici degli stranieri, secondo l’Ocse, sono dovuti all’eccessiva concentrazione di immigrati nelle classi e al fatto di non parlare la lingua del paese ospite in famiglia, Daveri suggerisce politiche contro la creazione di quartieri ghetto, contro le classi separate di stranieri e a favore di ragionevoli quote in classe e dell’apprendimento dell’italiano nei primi anni d’età. Anche perché le statistiche dimostrano che gli stranieri che studiano di più, arrivando a frequentare il liceo, non delinquono più dei pari età italiani.
 
 

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