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Rassegna Stampa Estera
23/07/2007

Presentato il XVII Rapporto CNEL sul mercato del lavoro

Crescita massima nel 2006,  rallentano domanda e produttività nei primi mesi del 2007.

Il CNEL (Consiglio Nazionale per l'Economia ed il Lavoro) ha presentato il suo annuale Rapporto sul Mercato del Lavoro, che analizza le caratteristiche e le dinamiche del mercato italiano nel 2006.

Quest'anno, inoltre, il Rapporto presenta alcune prime considerazioni sull'evoluzione nei primi mesi del 2007.

Il Rapporto si articola in quattro capitoli di carattere analitico su offerta di lavoro, occupazione, disoccupazione e tendenze recenti; ed in un capitolo dedicato alle politiche del lavoro che esamina transizioni e tipologie contrattuali e politiche per le pari opportunità.

Il mercato del lavoro nel 2006 è stato caratterizzato dalla massima crescita di occupazione dell'Italia.
Un dato importante questo, perché avvenuto in una fase di bassa crescita dell'Italia. Secondo la rilevazione sulle forze di lavoro, gli occupati aggiuntivi sono stati 425mila. Da segnalare, in questo quadro, la dimensione dell'aumento dell'occupazione femminile significativa in tutte le aree del paese. La crescita ha interessato sia l'occupazione dipendente che la componente del lavoro autonomo.

Parallelamente, la disoccupazione in Italia è scesa nel 2006 su valori non più osservati dai primi anni Ottanta. Si può affermare che è in atto un miglioramento strutturale nel mercato del lavoro italiano e non solo un miglioramento ciclico: scende quello che si definisce il tasso di disoccupazione di equilibrio (NAIRU).

I dati di inizio 2007 segnalano un rallentamento della domanda di lavoro ma non segnali di ripresa della produttività del lavoro, che rimane tra le più basse in Europa.

Il Rapporto esamina la relazione tra crescita, occupazione e produttività, confrontando tre fasi storiche di uscita da un ciclo recessivo: '80-86; ''90-'96; 2000-06. Quella attuale è caratterizzata da crescita più bassa, maggiori incrementi occupazionali, stagnazione completa della produttività. A modificare la relazione crescita-occupazione potrebbe essere stato il cambiamento del mercato del lavoro – interessato da grandi cambiamenti demografici e normativi nel corso dell'ultimo quinquennio- che ha favorito l'ingresso nel mercato di un numero elevato di nuovi lavoratori "marginali", dotati di minori qualifiche e con una produttività più bassa; un effetto nella composizione settoriale della crescita, che si sarebbe concentrata in settori strutturalmente a produttività stagnante (edilizia o alcuni comparti dei servizi alla famiglie); le politiche di emersione che hanno registrato fra i nuovi occupati alcuni lavoratori che lo erano già in precedenza ma sfuggiti alle rilevazioni delle statistiche. Nella analisi del Rapporto è presente una puntuale analisi delle dinamiche territoriali.

Nel 2006 vi è una sostanziale convergenza della dinamica occupazionale con il Mezzogiorno, che si è sincronizzato sugli andamenti del Nord e del Centro, ma il divario continua ad essere elevato. La ragione deve essere individuata nel diverso profilo dell'offerta di lavoro, che al Sud ristagna da otto anni. Certamente, vi sono effetti di scoraggiamento legati a trend demografici particolari, ma la riduzione offerta al Sud appare essere dovuta ad altri fenomeni, che necessitano di una maggiore capacità di analisi. In particolare, un aumento della mobilità dal sud al nord. Nel Mezzogiorno si segnala, peraltro, una scarsa crescita dell'offerta di lavoro femminile a fronte di una domanda che si è dimostrata particolarmente vivace. La sovrapposizione di una buona crescita della domanda di lavoro e di una contrazione dell'offerta, ha fatto sì che per la componente delle donne meridionali si verificasse una ampia contrazione del tasso di disoccupazione. Un dato interessante del Rapporto rispetto alla crescita occupazionale è il fatto che l'aumento della domanda di lavoro ha approfondito, ancora nel 2006, la peculiare articolazione della struttura dimensionale delle imprese italiane.

Tutta la crescita dell'occupazione è concentrata nelle imprese sino a 50 dipendenti, mentre le grandi imprese hanno ancora registrato decrementi nei livelli occupazionali. Il capitolo dedicato alle politiche sviluppa una analisi delle transizioni. Occorre sottolineare anzitutto che la struttura occupazionale per tipologie contrattuali indica che i lavoratori dipendenti temporanei in Italia pesano per circa l'11 per cento sullo stock degli occupati. Nel complesso gli atipici in Italia sono poco più di tre milioni con una diffusione che resta inferiore a quella degli altri paesi. La crescita dei contratti di lavoro temporaneo ne ha accresciuto l'incidenza fra i giovani. L'incidenza è maggiore fra le donne; è più elevata al Sud; cresce all'aumentare del titolo di studio. L'analisi delle transizioni dei lavoratori – che consente di valutarne il cambiamento dello stato professionale da un anno all'altro e che viene qui riproposta per il secondo anno – fa emergere una decisa diminuzione della probabilità di restare disoccupati per quanti l'anno precedente avevano un contratto a termine.

Esaminando il percorso di quanti hanno ottenuto nel 2006 una assunzione con contratto di lavoro a tempo indeterminato, oltre un terzo di tali assunzioni riguardavano persone che l'anno prima avevano un contratto a termine. Allo stesso modo, è aumentata la probabilità di trovare un lavoro per quanti l'anno precedente erano disoccupati ma nello stesso tempo è più probabile divenire disoccupato per coloro che sono impiegati con contratti atipici. Aumenta, rispetto al 2005, la frequenza con cui i disoccupati o gli inattivi trovano un impiego con un contratto di lavoro temporaneo. D'altra parte, aumenta anche la permanenza nei contratti atipici e questo non solo per i giovani ma anche per coloro che sono oltre i 35 anni. Inoltre, emerge una situazione complessivamente più sfavorevole per le donne. Il rapporto richiama il pesante ritardo con tutti i maggiori Paesi industrializzati. Pure in presenza di una crescita significativa dell'occupazione femminile nel 2006 ampia rimane la distanza che ci separa dal dato medio europeo –circa 10 punti percentuali- dall'obiettivo della Strategia di Lisbona – 46,3 per cento a fronte del 60 per cento. Questa situazione assai insoddisfacente è da attribuire sia alla scarsa domanda di lavoro femminile, sia alla modesta partecipazione delle donne al mercato del lavoro, da attribuire anche alla scarsità di servizi di welfare, sia a strumenti normativi, di incentivazione e di sostegno al lavoro femminile, che, per quanto si siano evoluti in questi anni, non sono ancora al livello di molti paesi europei. Le politiche necessarie ad aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono dunque: aumento dei servizi per conciliare vita lavorativa e vita familiare; maggiore flessibilità nelle opportunità di impiego; politiche di congedi per maternità che tengano conto delle opportunità di occupazione; interventi fiscali a favore delle donne.

Tratto dal Comunicato Stampa  Cnel

www.cnel.it


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