In continuità con gli ultimi anni il Censis conferma una sequenza positiva di lungo periodo (dal rifiuto dell’ipotesi del declino, alla patrimonializzazione, dall’individuazione di schegge di vitalità economica fino al piccolo silenzioso boom descritto lo scorso anno).
Oggi si può confermare una visione positiva: sia perché cresce nelle imprese la qualità delle strategie competitive (di nicchia, di offerta sul mercato del lusso, di lavoro su commessa, ecc.); sia perché si va allargando la base territoriale dello sviluppo; sia perché abbiamo finalmente anche noi dopo decenni alcuni importanti big-players. Ed è una visione positiva che sembra poter superare anche le turbolenze finanziarie addensatesi negli ultimi mesi.
Tuttavia, le dinamiche di sviluppo in atto restano dinamiche di minoranza, che non filtrano verso gli strati più ampi della società. Lo sviluppo non filtra sia perché non diventa processo sociale, sia perché la società sembra adagiarsi in un’inerzia diffusa, una specie di antropologia senza storia, senza chiamata al futuro. Una realtà sociale che diventa ogni giorno una poltiglia di massa; impastata di pulsioni, emozioni, esperienze e, di conseguenza, particolarmente indifferente a fini e obiettivi di futuro, quindi ripiegata su se stessa. Una realtà sociale che inclina pericolosamente verso una progressiva esperienza del peggio. Settore per settore nulla quest’anno ci è stato risparmiato: nella politica come nella violenza intrafamiliare, nella micro-criminalità urbana come in quella organizzata, nella dipendenza da droga e alcool come nella debole integrazione degli immigrati, nella disfunzione delle burocrazie come nello smaltimento dei rifiuti, nella ronda dei veti che bloccano lo sviluppo infrastrutturale come nella bassa qualità dei programmi televisivi. Viviamo insomma una disarmante esperienza del peggio.
Tanto che, quasi quasi al termine poltiglia di massa si potrebbe (con eleganza minore) sostituire il termine più impressivo di “mucillagine”, quasi un insieme inconcludente di “elementi individuali e di ritagli personali” tenuti insieme da un sociale di bassa lega.
Pertanto in una società così inconcludente appare difficile attendersi l’emergere di una qualsivoglia capacità o ripresa di sviluppo di massa, di “sviluppo di popolo” come si diceva una volta; e le offerte innovative possono venire solo dalle nuove minoranze attive, ovvero:
- la minoranza che fa ricerca scientifica e innovazione tecnica è orientata all’avventura dell’uomo e alla sua potenzialità biologica;
- la minoranza che, nella scia della minoranza industriale oggi rampante, fa avventura personale e sviluppo delle relazioni internazionali (si pensi ai giovani che studiano o lavorano all’estero, ai professionisti orientati ad esplorare nuovi mercati, agli operatori turistici di ogni tipo, ecc.);
- la minoranza che ha compiuto un’opzione comunitaria, cioè ha scelto di vivere in realtà locali ad alta qualità della vita;
- la minoranza che vive il rapporto con l’immigrazione come un rapporto capace di evolvere in termini di integrazione e coesione sociale;
- la minoranza che si ostina a credere in una esperienza religiosa insieme attenta alla persona e alla complessità dello sviluppo ai vari livelli;
- e le tante minoranze che hanno scelto l’appartenenza a strutture collettive (gruppi, movimenti, associazioni, sindacati, ecc.) come forma di nuova coesione sociale e di ricerca di senso della vita.
Si tratta senz’altro di una sfida faticosa, che le citate diverse minoranze dovranno verosimilmente gestire da sole. Ma sfida desiderabile, per continuare a crescere forse anche con un po’ di divertimento; sfida realistica, perché non si tratta di inventare nulla di nuovo ma di mettersi nel solco di modernità che pervade tutti i Paesi avanzati.
IL MONDO DEL LAVORO
Il bilancio dell’anno è caratterizzato da un rallentamento nella capacità del mercato di produrre posti di lavoro, con un protagonismo meno evidente del lavoro a termine e probabilmente con un rallentamento, più evidente, dell’accesso di stranieri nel gioco degli scambi economici. Di conseguenza, l’occupazione mantiene un andamento positivo con valori che tendono a ridursi: la variazione degli occupati nel II trimestre 2006 su quello del 2005 era pari al 2,4%; la stessa variazione relativa al secondo trimestre 2007 sullo stesso periodo del 2005 è stata dello 0,5%.
In presenza di un problematico ritmo di crescita dell’occupazione si è osservata, al tempo stesso, la riscoperta delle competenze qualificate, soprattutto di tipo tecnico. Tra il 2004 e il 2006, dei 584 mila nuovi posti creati, il 90% hanno interessato profili tecnici intermedi, il cui incremento è stato quattro volte superiore a quello registrato per l’occupazione nel suo complesso. Nell’altalena dei profili professionali richiesti sono saliti i tecnici dell’amministrazione e dell’organizzazione (+12,3%), i tecnici dei servizi sociali (+22,3%) e i tecnici del settore ingegneristico (+11,9%).
Si conferma anche per quest’anno la riduzione del lavoro autonomo, che tende ad essere assorbito nell’occupazione dipendente, producendo, in particolare, un effetto di perdita di autonomia a carico di quella quota di lavoro indipendente che coincide con il lavoro intellettuale.
Ciò che invece non cambia è la condizione delle donne nel mercato del lavoro, rispetto alla quale si potrebbe dire che c’è ancora molto da fare. Nonostante tra il 2000 e il 2006 si siano creati più di un milione di nuovi posti di lavoro per le donne, pari un incremento del 12,5% complessivo, il tasso di attività femminile non è cresciuto come ci si poteva attendere, passando dal 48,5% del 2000 al 50,8% del 2006.
Sul piano delle relazioni di lavoro, l’anno è stato segnato dall’accordo sul welfare, stipulato nel luglio 2007 e trasferito sul piano normativo nel mese di novembre. L’esito complessivo del processo di approvazione dell’accordo ha dato ragione all’investimento che i sindacati hanno fatto sul piano della concertazione politica, che aveva bisogno di portare a casa anche un successo concreto; serviva, infatti, codificare in qualche modo la sua mobilitazione per il rafforzamento della democrazia rappresentativa, che da queste circostanze esce sicuramente più forte. Nel futuro a breve, non sarà possibile, almeno a parità di equilibrio politico formale, che i sindacati siano collocati solo all’interno di uno schema di “dialogo” sociale: e questo fa bene al paese e può far bene al lavoro, specialmente se acquisito come metodo e allargato alle tante componenti associative – anche legate al lavoro indipendente - che operano nel sistema produttivo.
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