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Politica economica
01/12/2020

Rapporto Svimez 2020

Presentato a Roma,  l'annuale Studio realizzato dall'Ente per lo sviluppo del Mezzogiorno.  La Pandemia aggredisce un'Economia e una Società già deboli da Nord a Sud:nel 2020 il Pil italiano, secondo SVIMEZ, si contrarrà del 9,6%.



RAPPORTO SVIMEZ 2020
L’ECONOMIA E LA SOCIETÀ DEL MEZZOGIORNO
 
LA PANDEMIA AGGREDISCE UN’ECONOMIA E UNA SOCIETA’ GIA’
DEBOLI DA NORD E A SUD

La prima ondata della pandemia ha avuto per epicentro il Nord. La crisi economica si è però presto estesa al Mezzogiorno dove si è tradotta in emergenza sociale incrociando un tessuto produttivo più debole, un mondo del lavoro più frammentario e una società più fragile.

La seconda ondata, a differenza della prima, ha interessato direttamente anche il Mezzogiorno. All’emergenza economica e sociale già sperimentata nella prima ondata si è perciò sommata, nell’ultimo mese, l’emergenza sanitaria generata dalla pression  sulle strutture ospedaliere e in più generale su tutto il sistema di cura.

L’ECONOMIA MERIDIONALE MINACCIATA
Nel 2020 il Pil italiano, secondo SVIMEZ, si contrarrà del 9,6%. L’arretramento più marcato nel Centro-Nord, con un calo del 9,8%, nelle regioni meridionali sarà del 9%. Nelle regioni meridionali il secondo lockdown ha accresciuto le difficoltà di attività e pezzi di occupazione in posizione marginale (sommerso, nero, irregolari). Di qui la caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% superiore a quella del CentroNord (-9%). Mentre la base produttiva meridionale non ha ancora recuperato i livelli antecedenti la “lunga crisi”, specie nel comparto industriale.

La SVIMEZ prevede che il Pil cresca nel 2021 al Sud dell’1,2% e nel 2022 dell’1,4% e al Centro-Nord del 4,5% nel 2021 e del 5,3%l’anno successivo. La conseguenza è che la ripresa sarebbe segnata dal riaprirsi di un forte differenziale tra le due macro aree.


LE PREVISIONI REGIONALI
Secondo SVIMEZ, il Paese è «unito» da una recessione senza precedenti. Gli effetti economici, così come avvenuto per la pandemia, si diffondono progressivamente a tutte le regioni italiane. Il primato negativo del crollo del PIL nell’anno del Covid-19 spetta ad una regione del Mezzogiorno e ad una del Nord: la Basilicata (–12,9%) e il Veneto (–12,4%). La Lombardia, epicentro della crisi sanitaria, perde 9,4 punti di Pil nel 2020. Perdite superiori al 10% si registrano nel 2020 al Nord: Emilia Romagna (– 11,4%), Piemonte (–11,3%) e Friuli V.G. (–10,5); al Centro: Umbria (–11,6%) e Marche (–10,8%); e nel Mezzogiorno: Puglia (–10,8%) e Molise (–11,7%). 
La Campania perde circa il 9%. Elevate le perdite anche in Calabria (–8,9%). A seguire Sardegna (–7,2%) e Sicilia (–6,9%), economie regionali meno coinvolte negli interscambi commerciali interni ed esteri e perciò più al riparo dalle ricadute economiche della pandemia.

EFFETTI LEGGE BILANCIO NEL 2021 e 2022
Gli effetti della Legge di Bilancio 2021 si vedranno soprattutto nel 2022, in entrambe le macroaree. Sarà il Sud a trarne i maggiori benefici. Già dal prossimo anno, in quanto il Pil aumenterebbe del +2,5%, circa un punto più di quanto previsto senza tenere conto della Legge di Bilancio. Ciò perché vi sarà un aumento della spesa in conto capitale che si somma agli effetti già presenti nel 2021 della riduzione contributiva per i lavoratori del Sud.

La ripartenza del 2021 è più differenziata su base regionale rispetto all’impatto del Covid-19 nel 2020. Sia pure recuperando solo circa metà delle perdite subite nel 2020, le tre regioni settentrionali del triangolo della pandemia sono le più reattive: +5,8% in Emilia Romagna, +5,3% in Lombardia, +5,0% in Veneto. Segno, questo, che le strutture produttive regionali più mature e integrate nei contesti internazionali riescono a ripartire con meno difficoltà, anche se a ritmi largamente insufficienti a recuperare le perdite del 2020. Piemonte e Liguria, invece, mostrano maggiori difficoltà a ripartire a ritmi paragonabili alle altre regioni del Nord. Tra le regioni meridionali, le più reattive nel 2021 sono, nell’ordine, Basilicata (+2,4%), Abruzzo e Puglia (+1,7%), seguite dalla Campania (+1,6%), confermando la presenza di un sistema produttivo più strutturato e integrato con i mercati esterni. A fronte del Sud che riparte, sia pure con una velocità che compensa solo in parte le perdite del 2020, nel 2021 ci sarà anche un Sud dalla ripartenza frenata: Sicilia (+0,7%), Calabria (+0,6%), Sardegna (+0,5%), Molise (+0,3%). Si tratta di segnali preoccupanti di isolamento dalle dinamiche di ripresa esterne ai contesti locali, conseguenza della prevalente dipendenza dalla domanda interna e dai flussi di spesa pubblica.

CALA INESORABILMENTE LA POPOLAZIONE
Nel 2019, tutte le regioni italiane hanno registrato un saldo naturale negativo e in netto peggioramento rispetto all’anno precedente. Nel 2018 si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 138mila residenti, di cui 20 mila hanno scelto un paese estero come residenza, una quota decisamente più elevata che in passato, come più elevata risulta la quota dei laureati, un terzo del totale. Quasi i due terzi dei cittadini italiani che nel 2018 ha lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord, aveva almeno un titolo di studio di secondo livello: diploma superiore il 38% e laurea il 30%.

Nel Mezzogiorno il pendolarismo fuori regione è decisamente più intenso che nel resto del Paese, nel 2019 è praticato da circa 240mila persone, il 10,3% del complesso dei pendolari dell’area a fronte del 6,3% nel Centro-Nord. Un quinto dei pendolari meridionali (57 mila unità) si muove verso le altre regioni del Sud; i restanti quattro quinti (185 mila pari al 3% degli occupati residenti) si dirigono verso le regioni del Centro-Nord o i paesi esteri.

LAVORO, Il COVID NON E’ STATO UNA “LIVELLA”
Nei primi tre trimestri del 2020 il lockdown ha incrociato un mercato del lavoro sostanzialmente stagnante da più di un anno. La SVIMEZ stima una riduzione dell’occupazione del -4,5% nei primi tre trimestri del 2020, il triplo rispetto al CentroNord. E si attende una perdita di circa 280mila posti di lavoro al Sud. La crescita congiunturale dell’occupazione era già modesta, la ricerca di lavoro in diminuzione e l’inattività in aumento.

Il Covid non è stato una “livella”, non ha reso tutti un po’ più poveri ma più uguali. Gli andamenti sul mercato del lavoro mostrano l’esatto contrario: la crisi seguita alla pandemia è stata un acceleratore di quei processi di ingiustizia sociale in atto ormai da molti anni che ampliano le distanze tra cittadini e territori. La crisi si è scaricata quasi interamente sulle fasce più fragili dei lavoratori. Cassa integrazione e blocco dei licenziamenti, nonostante l’ampliamento a settori ed imprese non coperte, hanno costituito un argine allo tsunami della crisi per i lavoratori tutelati, ma hanno inevitabilmente incanalato l’onda nociva dei licenziamenti, dei mancati rinnovi dei contratti a termine, e delle mancate assunzioni verso le componenti più precarie e verso i territori più deboli dove tali tipologie sono più diffuse. I posti di lavoro persi sono composti per due terzi da contratti a termine (non rinnovati al momento della scadenza e/o non attivati) e per la restante parte da lavoratori autonomi. 

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SINTESI RAPPORTO SVIMEZ 2020

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