Di Loris Brizio :
Commissione Nazionale Sicurezza sul Lavoro FABI Sanpaolo IMI
L’ISPESL ha affidato alla F.A.B.I., in collaborazione con l’Università di Foggia -Facoltà di Medicina-, una specifica ricerca nell’ambito dell’area tematica “Cultura della salute e sicurezza negli ambienti di vita e di lavoro anche con riferimento ai nuovi rischi e alle tipologie dei lavoratori (genere, età, contratti di lavoro)”.
La ricerca è così delineata: Attività lavorativa in ambito bancario e rischio psichico. Studio dell’organizzazione del lavoro e della tipologia delle mansioni. Gli Obiettivi sono di studiare, attraverso una indagine sul campo, le caratteristiche dell’organizzazione del lavoro e delle tipologie di operatività in ambito bancario, al fine di evidenziare i fattori stressanti e definire gli opportuni correttivi per una loro progressiva diminuzione.
Da tempo il Gruppo di Lavoro coordinato da Luca Panfietti aveva promosso attività in collaborazione con ISPESL, tra le quali i corsi di Formazione per R.L.S., hanno costruito una specifica didattica per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (L. 626/94).
Da parte Universitaria il responsabile della ricerca è il prof. Luigi Ambrosi, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Università degli Studi di Foggia e Presidente dell’Associazione Italiana di Medicina del Lavoro ed Igiene Industriale.
Lo abbiamo incontrato presso la Sede ISPESL di Via Alessandria in Roma e, a margine di un incontro di alto livello del Comitato Scientifico dell’ISPESL, gli abbiamo posto alcuni quesiti.
Ci riceve con la calma del medico abituato al dialogo, ed esordisce senza attendere domande: “Lo sa che questa era la Sede dell’ENPI, un ente che ha realizzato più cose di quante si potevano fare, pur con i mezzi a disposizione allora, negli anni in cui noi medici del lavoro costruivamo, e spesso inventavamo con coraggio, il futuro della sicurezza nelle aziende?”.
Da quanto tempo si occupa di medicina del lavoro?
Ambrosi sorride: “fin dagli anni ’70, quando molti imprenditori ritenevano assolutamente inscindibile il rischio dall’attività: quasi un costo da pagare all’altare della produzione” e continua: “fu in quell’ambito che maturai la convinzione che solo attraverso l’azione professionale di esperti, come i medici del lavoro –che allora non avevano ancora avuto una piena definizione giuridica- esterni al processo produttivo, si sarebbero potuti ottenere miglioramenti: e badi che allora i problemi erano spesso di tipo fisico e si evidenziavano con tragici infortuni sul lavoro o gravi malattie malattie professionali”.
Come si colloca il settore del Credito in questa tematica?
“Nel vostro comparto, come del resto in tutto il settore terziario, stiamo pagando lo scotto in termini di benessere psichico e quindi di salute, secondo il concetto dell’OMS, per alcune trasformazioni importanti intervenute nell’organizzazione del lavoro. Penso, soprattutto, all’introduzione delle tecniche “ICT” (information / communication technology) e penso ad un concetto importante, per tanti versi, a me caro. Mi riferisco al ruolo che nella nostra vita, e quindi in ambito lavorativo, svolge la comunicazione tra gli individui. Al riguardo propongo una breve digressione: io mi occupo a Foggia di cancerogeni epigenetici, ossia di sostanze che interferiscono con la comunicazione intercellulare; è noto che se questa comunicazione viene ridotta, la cellula o si suicida (apoptosi) o inizia a comportarsi al di fuori delle regole delle altre cellule, cioè prolifera senza controllo e dà luogo al tumore. Orbene, io ho osservato nella mia pratica quotidiana che, a livello sociale, l’individuo si comporta nello stesso modo. Provi a pensare per un attimo che vita sarebbe la nostra senza comunicazione. Sicuramente ci indurrebbe a dei comportamenti antisociali. Pensiamo quindi al lavoratore di oggi in un’azienda dove controllano il tempo che impiega a prendere un caffè, dove le tecnologie richiedono dei tempi di accesso e di trasmissione dati, dettati solo dal clock del computer.
Il lavoratore non comunica più con i colleghi, perché li vede come dei potenziali “concorrenti”:
com’è diventata la sua vita?
A volte la stessa conflittualità la trova anche a casa dove un altro mezzo tecnologico, la TV, ha preso il posto del dialogo. Così si sente l’uomo di oggi: solo, immerso in una realtà virtuale nella quale si accorge di conoscere meglio le bizze del suo computer, i problemi del mondo e del suo ambiente di lavoro. Questo stesso uomo conosce sempre meno le persone che interagiscono con lui. La mancanza di conoscenza degli altri e la ricostruzione immaginaria dell’altro, non confrontata con la realtà, lo porta ad attribuire ad altri sentimenti propri di rivalsa, di invidia che accentuano atteggiamenti difensivi e che rendono il dialogo sempre più difficile. Il lavoratore scivola verso la nevrosi e se ha un carattere particolarmente sensibile, o se non serve più all’azienda, è probabile che diventi un mobbizzato.
A questo punto interviene il prof. Francesco Fischetti, docente di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso l’Università di Foggia, ”Non dimentichi che, oltre a ciò, vi è stata l’introduzione di tecniche di vendita dei prodotti e di promozione delle attività aziendali su basi competitive tra i dipendenti, cosa che avete evidenziato come sindacato nel corso del dibattito contrattuale sui sistemi premianti”.
Riprende Luigi Ambrosi: “Questa situazione, spesso priva di specifici piani di formazione per i dipendenti, ha creato il moltiplicarsi di situazioni di stress e di tensione”.
Quanto dice ci è anche confermato dalla crescita delle cause di lavoro su questi temi oltre che da una specifica vertenzialità sindacale. Ma quali sono i numeri del fenomeno?
Risponde il prof. Roberto Zefferino, docente di Medicina del Lavoro presso l’Università di Foggia, il quale, citando gli ultimi dati rilevati dall’Agenzia Europea per la Salute e la Sicurezza nel Lavoro, spiega che “Le ultime rilevazioni ci evidenziano che lo stress da lavoro interessa in Europa oltre 40 milioni di persone (circa il 28 per cento dei lavoratori: dato preoccupante e che sicuramente va incrementato di quel ‘numero sommerso’ di persone che non ne sono consapevoli o non hanno il coraggio di manifestare il loro disagio). Non dimentichiamo che lo stress può anche essere fonte di malattie organiche”.
Riprende Luigi Ambrosi: “E’ proprio qui che si rende necessaria la sensibilità del medico del lavoro: saper comprendere il disagio e saper indicare le azioni più corrette per aiutare le persone a recuperare tutte le proprie potenzialità: oggi le leggi italiane, che derivano dalle direttive della Comunità Europea, promuovono azioni volte al raggiungimento del benessere psicofisico dei lavoratori nel luogo di lavoro. Bisogna fare in modo che anche i rischi psichici siano oggettivamente affrontati e si pongano in campo tutte le azioni per ridurli o eliminarli. Dalla ricerca con la FABI riteniamo di poter ricavare indicazioni di grande utilità per lo studio di questo fenomeno, utilizzabili specialmente nel campo della prevenzione”.
Cosa si può concretamente fare per migliorare la qualità della vita professionale del bancario?
“Sicuramente vi è necessità di iniziative forti nel campo della safety e della security, tra le quali, a mio avviso, devono esser sicuramente sostenute due istanze:
a) l’organizzazione del lavoro e gli strumenti di lavoro – così come l’ambiente - devono essere valutati come possibili fonti di patologie e disturbi di natura fisica e psichica;
b) si deve intervenire preventivamente perché non insorgano situazioni di disagio, coinvolgendo maggiormente figure istituzionali – come il Medico Competente - al verificarsi di situazioni critiche.”
Il tempo è scaduto, ma il prof Ambrosi, accomiatandosi, aggiunge: ”Ricordatevi che molte patologie, come i disturbi post rapina, sono curabili purché vengano correttamente diagnosticati e affrontati con competenza. Abbiate fiducia nel medico competente aziendale e indirizzate a lui i vostri colleghi che ne evidenzino la necessità”.