Presentato in Roma, il 3° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale. Nel Paese si creano meno posti di lavoro che altrove. Crescono le disuguaglianze retributive tra operai, impiegati e dirigenti e aumenta lo stress da lavoro. Il welfare aziendale migliora la qualità della vita in azienda.
Buste paga più leggere e minori tutele, ma anche paura per mansioni, orari, qualità della vita in azienda e, non da ultimo, per il rischio di perdere il lavoro: così i lavoratori dipendenti italiani attendono l’arrivo delle nuove tecnologie e della digitalizzazione in azienda.
La tecno-paura dei lavoratori si contrappone al tecno-entusiasmo delle aziende, i cui vertici sono in larghissima maggioranza convinti che la incombente rivoluzione tecnologica finirà per migliorare la qualità della vita e del lavoro per tutti.
Ecco il quadro che emerge dal 3° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, che incastona l’analisi dello sviluppo del welfare aziendale nel racconto di quello che sta per arrivare nelle aziende per effetto dell’implementazione delle nuove tecnologie e del digitale.
Ne emerge un racconto altamente impressivo dove i dati ufficiali, uniti alle opinioni di un campione rappresentativo di lavoratori dipendenti italiani e di un ampio panel di responsabili aziendali, accendono la luce sia sulla tecnodisuguaglianza già oggi evidente tra chi lavora in settori ad alta intensità tecnologica e gli altri, sia sugli effetti attesi sulla propria condizione dalle varie tipologie di lavoratori: il timore di essere colpiti è molto più alto tra operai e lavoratori con funzioni esecutive.
In questa ottica il welfare aziendale è uno degli strumenti nuovi e potenzialmente più efficaci per migliorare la qualità della vita dei lavoratori, per contenere le disuguaglianze e anche per ammortizzare gli effetti attesi, sia concreti che psicologici, della rivoluzione tecnologica.
Di seguito i principali risultati in sintesi relativi a:
- la tecno-polarizzazione dei redditi dei lavoratori per effetto dell’intensità
tecnologica e del contenuto di conoscenza del settore produttivo di
occupazione;
- le paure di fronte al cambiamento atteso;
- il ruolo potenziale del welfare aziendale come risposta alla tecnodisuguaglianza attesa.
LA TECNO-POLARIZZAZIONE DEI SALARI
Un salario quasi doppio rispetto a quello degli altri settori: ecco che cosa significa concretamente lavorare oggi in aziende collocate sulla frontiera più avanzata della tecnologia e della conoscenza.
A rivelarlo sono i dati relativi ai salari degli occupati in imprese che operano in settori a medio-alta tecnologia e knowledge intensive: un insieme di imprese enucleato a partire dalla classificazione Eurostat-OCSE che identifica i settori manifatturieri a media e alta intensità tecnologica come quelli con la più alta spesa in investimenti per ricerca e sviluppo e identifica le attività nei servizi ad alto livello di conoscenza come quelle dove più di un terzo dei lavoratori occupati possiede una laurea. Sono 180.782 (il 4,2% del totale) le imprese operanti in settori che vanno dalle telecomunicazioni alla produzione di veicoli spaziali, apparecchi ottici, sistemi informatici, prodotti farmaceutici e chimici, fibre, veicoli elettrici.
Nel 2017, fatto 100 il salario medio di un lavoratore occupato nel comparto industria e servizi, quello di un lavoratore occupato in settori ad alto e medio impatto tecnologico e ad alto contenuto di conoscenza è pari a 184,1, mentre quello di un lavoratore occupato nelle altre imprese è pari a 93,5.
Sono numeri che, in maniera plastica, certificano l’esistenza di una tecnopolarizzazione dei salari: una disuguaglianza che taglia in due la popolazione occupata, spinge in avanti chi lavora in settori a più alto contenuto di tecnologia e conoscenza, e lascia indietro gli altri