La legge innovativa sull'accessibilità informatica promulgata nel
2004, a distanza di quattro anni si rivela di fatto ancora inapplicata.
E' l'ennesimo segnale di una buona occasione persa. Ma l'Europa
potrebbe colmare questa lacuna nei prossimi mesi.
di Pietro Gentile,
su concessione di ICT Professional, la Rivista dei Dirigenti Informatici Italiani.
Dopo mesi di bombardamenti mediatici sulla “rincorsa affannosa”
dell’Economia italiana dobbiamo ormai rassegnarci alla realtà che il
Bel Paese sia il fanalino di coda in Europa relativamente a molti
settori dell’Economia e della Ricerca. Uno dei motivi che ci relegano
in fondo alle classifiche continentali e mondiali è costituito dal
fatto che sulla carta le idee vi sono, ma nella realtà, grazie
all’innata capacità italiana di complicare le cose, non si riesce quasi
mai a realizzarle.
Parlando di informatica, un esempio tipico di “occasione
persa” può essere quello dell’Accessibilità. Una norma estremamente
innovativa, la legge “Stanca” del 2004, aveva posto le basi per un
rinnovamento che avrebbe reso l’Italia all’avanguardia in un settore in
cui la sensibilità per i meno fortunati si univa alla creazione di
professionalità e opportunità di sviluppo.
A quattro anni di distanza molti
professionisti dell’ICT che avevano investito in tale ambito hanno
dovuto “emigrare” in Europa o modificare le proprie attese.
E proprio l’Europa, come per altri settori dell’economia, probabilmente “ci salverà”.
Ne
abbiamo parlato con Massimo Canducci, "Direttore del Centro di
Competenza per l'Accessibilità del Gruppo Engineering" e membro del
“European Commission Working Group (European Commitee for
Standardization) CEN/BT/WG185 - eAccessibility”.
L’Italia
è teoricamente all’avanguardia nel cercare di garantire la fruibilità
dei contenuti web alle persone che appartengono a categorie deboli e
svantaggiate.
E’ tutto vero?
L’Italia, tra i primi paesi al mondo, ha affrontato il tema con
serietà e competenza e si è dotata di ottimi strumenti che, se ben
utilizzati, sono in grado di ridurre notevolmente i principali ostacoli
che le persone con disabilità incontrano quando cercano di utilizzare
le enormi potenzialità offerte dai contenuti e dai servizi disponibili
sul canale web.
Gli strumenti sono rappresentati dalla legge 4/2004
(Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli
strumenti informatici), dai decreti collegati e da tutto il materiale
che molti specialisti di questa materia hanno prodotto in questi anni,
materiale che spesso è stato reso disponibile gratuitamente sul web.
La
legge, in sintesi, impone che qualunque fornitura di servizi ICT per la
Pubblica Amministrazione sia regolata da un contratto contenente
obbligatoriamente un esplicito richiamo all’osservanza di un
determinato pacchetto di requisiti tecnici, in assenza di tale
indicazione il contratto in sé è annullabile.
In linea teorica
quindi, da qualche anno a questa parte non è più possibile produrre
soluzioni ICT per la Pubblica Amministrazione che non rispettino i
requisiti tecnici di accessibilità.
Cosa accade in realtà?
L’accessibilità, dal punto di vista formale, si può misurare unicamente analizzando il rispetto dei requisiti tecnici.
Le
fornisco un dato numerico che fa riflettere: il CNIPA nel 2008 ha
analizzato 1426 home page di siti e portali della Pubblica
Amministrazione. Obiettivo dell’analisi è stata la verifica di
conformità di alcuni requisiti tecnici (inizialmente solo 9 su 22). Il
risultato è che soltanto 47 di queste home page sono risultate conformi
ai 9 requisiti tecnici esaminati, stiamo parlando di circa il 3% del
totale. E’ facile immaginare che risultato si sarebbe ottenuto
effettuando la verifica tecnica completa secondo la normativa.
E
quel che è peggio è che troppo spesso ci si imbatte in servizi e
portali della Pubblica Amministrazione, a volte addirittura lanciati
dalle agenzie di stampa come se fossero veicoli di marketing, che
sembra siano realizzati senza tener minimamente in considerazione la
normativa, esattamente come se questa non esistesse.
Un dato sconcertante, non è che la legge è troppo difficile da applicare?
Dal punto di vista tecnologico la normativa è guidata da un
insieme di requisiti tecnici che descrivono essenzialmente le
metodologie per produrre interfacce utente di qualità e dovrebbero
rappresentare, per la maggior parte, l’ovvietà ed il pane quotidiano di
tutti i professionisti che progettano e scrivono applicazioni web.
A
titolo di esempio il primo dei requisiti tecnici richiede che il codice
dell’interfaccia sia scritto rispettando la sintassi e la grammatica
del linguaggio che si utilizza, non mi sembra che sia una richiesta
troppo onerosa.
Tipicamente i linguaggi di programmazione obbligano
lo sviluppatore a scrivere codice sintatticamente e grammaticalmente
corretto, in caso contrario si hanno segnalazioni di errore oppure, più
semplicemente, il codice non viene compilato ed è quindi
inutilizzabile. Sfortunatamente tutto ciò non avviene con il codice che
produce l’interfaccia utente, quest’ultimo in determinati contesti può
funzionare bene anche se è stato scritto senza rispettare la sintassi o
la grammatica del linguaggio che si utilizza.
E’ tuttavia
comprensibile come, nel caso di servizi erogati al cittadino, il fatto
che il sistema informativo “possa comunque funzionare” non è un
risultato che garantisce il livello minimo di qualità che ci si
dovrebbe aspettare.
Il problema sta quindi nel contesto tecnologico
troppo permissivo che non obbliga i professionisti ad una seria
formazione sulle tecnologie proprie dell’interfaccia utente.
Questo
approccio, seppur comprensibile nelle logiche di mercato, è
fondamentalmente sbagliato perché nella progettazione di un sistema
informativo è necessario pensare principalmente all’utente finale che
si troverà ad utilizzarlo.
Qualità, professionalità, formazione … non è che il tutto si traduce in una mera questione economica?
In termini generali la normativa ha qualche problema da questo
punto di vista, basti pensare che per l’attuazione non è prevista una
specifica copertura finanziaria. Questo ha comportato un generale
rallentamento dell’applicazione anche perché, è inutile che ci si
nasconda dietro ad un dito, un sistema informativo che rispetti
integralmente la normativa è più costoso di un analogo sistema
realizzato senza tener conto dei requisiti tecnici.
L’incremento dei
costi è dato fondamentalmente da tre fattori: innanzi tutto è
necessario affidarsi a professionisti qualificati anche nella
definizione dell’interfaccia utente in termini di processi funzionali e
non unicamente dal punto di vista estetico. In secondo luogo il
processo di sviluppo deve essere ampliato inserendo la verifica tecnica
secondo la normativa, una fase che prima non c’era. Infine tutti gli
attori coinvolti nel processi di produzione devono essere formati,
devono conoscere gli strumenti e devono iniziare a ragionare con
l’accessibilità in mente.
Tuttavia, dal punto di vista delle grandi
forniture ICT, si pensi ad esempio ad i grandi portali istituzionali,
non si può certo dire che il rispetto della normativa abbia costituito
un incremento di spesa per la Pubblica Amministrazione, è diventato
semplicemente un altro dei requisiti di qualità presenti nei capitolati
d’appalto e quasi mai ha costituito elemento di variazione nella
definizione del budget messo a disposizione per le singole forniture.
In
altre parole i costi dell’applicazione della normativa vengono spesso
rigirati sui fornitori di servizi ICT che in qualche modo devono
garantire, tra le altre cose, la conformità ai requisiti tecnici. Ecco
perché l’efficienza e la corretta organizzazione sono fattori
determinanti per ottenere l’alta qualità del prodotto ed al tempo
stesso la sostenibilità economica della fornitura.
Quindi esiste una soluzione per limitare i costi aggiuntivi derivanti dall’applicazione della normativa ?
Non esiste un’unica soluzione, esiste certamente l’attenzione
costante al tema che si traduce nell’individuare i corretti processi di
produzione ed i migliori modelli organizzativi con l’obiettivo di
coniugare tra loro i tre elementi chiave per il successo di
un’organizzazione: l’eccellenza della fornitura, l’investimento
costante in formazione, ricerca e innovazione e la sostenibilità
economica dell’intera operazione. Se si riesce a far questo
l’accessibilità non viene più percepita come un costo, ma diviene un
valore aggiunto della fornitura che incide marginalmente sui costi
complessivi di produzione.
La legge 4/2004 ha ormai qualche anno, secondo lei è ancora applicabile così com’è?
La normativa, per perseguire gli obiettivi di inclusione sociale,
fa riferimento a tematiche tecniche che evolvono velocemente, di
conseguenza anche i requisiti tecnici, che ormai hanno qualche anno,
dovranno adattarsi per evitare di essere di ostacolo all’evoluzione
tecnologica.
Si pensi, a titolo di esempio, ai pattern di
comunicazione ed interazione tipici del Web 2.0 e del social
networking, si tratta di modalità di fruizione e produzione di
user-generated contents che tipicamente utilizzano tecnologie che la
normativa attuale tende a sconsigliare, ponendo forti limitazioni ed
obbligando nei fatti la produzione di una doppia interfaccia utente.
Questo si traduce inevitabilmente in un aumento dei costi di produzione
e limita fortemente l’adozione di tali strumenti nei rapporti tra
istituzioni e cittadini.
La normativa attuale, inoltre, oggi mette
sullo stesso piano le applicazioni per il cittadino e quelle utilizzate
come strumenti di lavoro dal personale della pubblica amministrazione.
Queste tipologie di applicazioni hanno target di utenza ed obiettivi
diversi, di conseguenza anche l’insieme dei requisiti tecnici deve
essere correttamente dimensionato in relazione al contesto nel quale si
opera.
Questa è la direzione in cui si sta andando anche in contesti internazionali come la Commissione Europea o il consorzio W3C.
Qual è l’approccio dell’Europa al tema dell’accessibilità?
La Commissione Europea sta progettando un completo percorso
normativo per abbattere le barriere digitali e tecnologiche all'interno
dei contratti pubblici.
Per raggiungere questo risultato ha emesso
nel 2005 il Mandato M 376, nel quale richiede ad alcuni enti comunitari
(CEN, CENELEC e ETSI) un supporto per la produzione di una normativa
europea sull’accessibilità e più in generale sulla e-Inclusion.
Gli
obiettivi del mandato M376 sono fondamentalmente due: innanzi tutto il
censimento dell’esistente in termini di normative, linee guida e
metodologie di verifica ed in secondo luogo la produzione di uno
standard tecnico e metodologico di livello europeo, di linee guida di
supporto e di un toolkit gratuito e liberamente utilizzabile da tutti.
La
prima parte del lavoro, vale a dire il censimento di tutto l’esistente,
è recentemente terminata ed i risultati sono stati presentati al
pubblico in una Open Conference che si è tenuta a Bruxelles all’inizio
del mese di Giugno.
I documenti che sono stati prodotti saranno
consegnati ufficialmente alla Commissione nel mese di Ottobre,
successivamente si inizierà a lavorare sul tema della produzione di uno
standard tecnico e metodologico di livello comunitario.