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Mercato del lavoro
06/11/2024

Smart Working ancora in crescita in Italia

Si è svolto in Milano il Convegno di presentazione dei risultati dell'annuale Ricerca dell'Osservatorio Smart Working, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano. Lo Smart Working non si ferma: 3,55 milioni di lavoratori nel 2024. Per il 2025 si prevede una crescita del 5%.




CONVEGNO DI PRESENTAZIONE DEI RISULTATI 
DELLA RICERCA DELL'OSSERVATORIO SMART WORKING

Lo Smart Working non si ferma: 3,55 milioni di lavoratori nel 2024
Il 73% degli smart worker si opporrebbe se richiamato in ufficio
 

Lo Smart Working aumenta nelle grandi imprese, resta stabile in microimprese e PA, in calo nelle PMI Per compensare il rientro in ufficio i lavoratori agili vorrebbero flessibilità oraria o un aumento di stipendio del 20%
Meno di un’azienda su dieci ha la settimana corta. Quasi una grande azienda su tre prevede forme di International Smart Working 

Lo Smart Working in Italia è tutt’altro che in declino. 
Nonostante lo stop a tutte le misure di Smart Working semplificato che obbligavano i datori di lavoro a consentire lo Smart Working per specifiche categorie, il numero di lavoratori da remoto nel 2024 è sostanzialmente stabile: 3,55 milioni rispetto ai 3,58 milioni del 2023 (-0,8%). Lo Smart Working cresce nelle grandi imprese, dove coinvolge quasi 2 milioni di lavoratori (1,91 milioni, +1,6% sul 2023), vicino al picco della pandemia, con il 96% delle grandi organizzazioni che oggi hanno consolidato delle iniziative. Cala invece nelle PMI, passando a 520mila lavoratori dai 570mila dell’anno scorso, e resta sostanzialmente stabile nelle microimprese (625mila nel 2024, 620mila nel 2023) e nella PA (500mila nel 2024, 515mila nel 2023).

Per il 2025 si prevede una crescita del +5%, che porterebbe a toccare 3,75 milioni. A far evolvere le iniziative, in termini di persone coinvolte o di policy, saranno soprattutto le grandi imprese (35%) seguite dalle PA (23%) e dal 9% delle PMI. Praticamente tutte le grandi imprese prevedono di mantenere lo Smart Working anche in futuro. Il 35% delle grandi imprese e il 43% delle PA prevede un incremento dei lavoratori coinvolti nel prossimo anno, mentre nelle PMI la direzione è opposta, con solo l’8% che ipotizza un aumento.

Gli smart worker italiani possono lavorare da remoto in media 9 giorni al mese nelle grandi imprese, 7 nella Pubblica Amministrazione e 6,6 nelle PMI. Lo Smart Working è una pratica diffusa e apprezzata, a cui ben pochi rinuncerebbero: il 73% dei lavoratori che se ne avvalgono si opporrebbe se la propria azienda eliminasse questa forma di flessibilità. Nello specifico, il 27% penserebbe seriamente di cambiare lavoro, il 46% si impegnerebbe per far cambiare idea al datore di lavoro. Sempre secondo i lavoratori, per cercare di compensare almeno in parte la mancata possibilità di lavorare da remoto, l’azienda dovrebbe offrire una maggiore flessibilità oraria o aumentare lo stipendio di almeno il 20%.

Tra chi è tornato in totale presenza dopo aver lavorato da remoto, solo il 19% lo ha fatto per scelta personale, perché non ha più la necessità di lavorare da remoto o semplicemente preferisce socializzare con i colleghi in presenza, il 23% ha una nuova mansione non svolgibile da remoto, mentre per la grande maggioranza (58%) è stata una decisione presa dall’azienda.

Sono alcuni dei risultati della ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano* presentata durante il convegno “Tra Smart Working e Return-to-Office: orientarsi nel labirinto della flessibilità”. Uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano (www.osservatori.net) che affrontano tutti i temi chiave dell’Innovazione Digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

“Negli ultimi mesi, a causa dell’eliminazione degli ultimi obblighi normativi sullo Smart Working e della scelta di alcune grandi multinazionali di far tornare i propri lavoratori totalmente in presenza, si è decretata prematuramente la fine dello Smart Working – spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working -. In realtà i numeri fotografano un’altra realtà, con i lavoratori da remoto sostanzialmente stabili rispetto allo scorso anno. Il lavoro agile cresce nelle grandi aziende e cala nelle PMI. Nelle piccole realtà la fine dell’obbligo dello Smart Working per i lavoratori fragili ha riportato in ufficio molti lavoratori, probabilmente perché questo modello organizzativo è ancora visto, prevalentemente, come uno strumento occasionale di conciliazione tra vita privata e lavorativa e non come una vera e propria innovazione nell’organizzazione del lavoro”.

“La flessibilità nell’organizzazione del lavoro è rilevante per attrarre e trattenere talenti. Per questo le organizzazioni stanno valutando e sperimentando nuovi modelli per ampliare il numero di persone che possono fruire di forme di flessibilità e, allo stesso tempo, accedere ad un più ampio bacino di competenze necessarie – dice Fiorella Crespi, Direttrice dell’Osservatorio Smart Working -. Si va dalla settimana corta, adottata effettivamente da meno del 10% delle aziende, ma che riscuote molto interesse, all’International Smart Working: un fenomeno praticato nel 29% delle grandi imprese e che permette di impiegare persone che risiedono all’estero, siano esse di nazionalità straniera o italiana”.

L’approccio dei manager
L’atteggiamento dei manager ha un ruolo cruciale nel determinare l’adozione delle pratiche di Smart Working e il loro effettivo utilizzo. Il 53% delle grandi imprese ritiene che i propri manager siano promotori di tali iniziative mettendole in pratica e stimolando anche i propri collaboratori a farlo. Nel settore pubblico e nelle PMI questo atteggiamento positivo è meno diffuso, presente solo, rispettivamente, nel 35% e nel 27% delle organizzazioni. Oltre un terzo delle PMI dichiara, invece, che i propri responsabili hanno un atteggiamento scettico rispetto allo Smart Working, permettendo alle persone di lavorare da remoto solo in presenza di particolari necessità o addirittura non incentivandone l’applicazione.

Un approccio strategico in cui sia lavoratori che manager rivedono il proprio modo di lavorare coerentemente con la filosofia delle Smart Working, è presente solo nel 33% delle grandi imprese, nel 20% delle PA e nell’8% delle PMI, e porta a risultati superiori in termini sia di prestazioni organizzative che di benessere delle persone.

Gli spazi di lavoro
Cresce l’attenzione al ripensamento degli spazi di lavoro per renderli più efficaci ed attrattivi in un modello di lavoro Smart. Il 78% delle grandi imprese ha, almeno in alcune sedi, spazi flessibili, riconfigurabili, differenziati e che permettono un uso efficace degli ambienti, soluzioni presenti anche nel 49% della PA e nel 34% delle PMI. Il 56% delle grandi imprese e il 28% di PMI e PA hanno introdotto nelle loro sedi spazi dedicati al recupero delle energie e alla socializzazione, mentre restano ancora poco diffuse le soluzioni per il benessere fisico come gli standing desk.

Molto è ancora da fare sul tema della sostenibilità degli spazi di lavoro, soprattutto dal punto di vista ambientale. Gli interventi attuati, presenti almeno in alcune sedi del 63% delle grandi imprese, nel 54% delle PMI e 56% delle PA, si concentrano principalmente su sistemi che permettono di segmentare gli spazi, evitando il riscaldamento o raffreddamento degli ambienti quando non usati. Meno diffusi sono gli arredi con materiali sostenibili e di riciclo, presenti nel 40% delle grandi imprese, 15% delle PMI e 12% delle PA. Rispetto al tema dell’inclusività solo il 26% delle grandi imprese, il 13% delle PMI e il 21% delle PA hanno elementi che rendono gli spazi accessibili a persone con esigenze non standard, come percorsi tattili e scelte cromatiche pensate per chi ha difficoltà visive. Meno di 1 organizzazione su 10 ha spazi adeguati a persone con neurodiversità o luoghi di preghiera per diverse fedi religiose.


Nuove forme di flessibilità
Meno di 1 azienda su 10 ha adottato la settimana corta, ma nonostante una diffusione ancora contenuta, questa sta riscontrando interesse nelle organizzazioni. I modelli e le pratiche sono molto diversi, dalla settimana compressa ai venerdì brevi, talvolta applicati solo in determinati periodi dell’anno, o una rimodulazione dell’orario lavorativo riservate a specifici profili di lavoratori, come quelli su turni. Le motivazioni principali per cui le organizzazioni hanno implementato o stanno valutando di introdurre la settimana corta sono: migliorare il bilanciamento fra vita privata e lavorativa delle persone (per il 91% delle aziende), la volontà di aumentare la soddisfazione lavorativa e l’engagement (89%) e la capacità di risultare più attrattive sul mercato del lavoro (56%). Il miglioramento della produttività non figura tra le principali motivazioni dichiarate.

Un fenomeno emergente è l’International Smart Working, presente soprattutto nelle grandi imprese, in cui è praticato già dal 29% delle realtà, mentre è ancora contenuta la diffusione nelle PMI (4%). Le iniziative riguardano spesso un numero limitato di individui, ma rappresentano lo strumento con cui le organizzazioni possono accedere ad un più ampio bacino di talenti a livello geografico e mantenere il rapporto di lavoro con chi manifesta la necessità di spostarsi a vivere all’estero. Attrarre specifici profili e trattenere talenti sono le principali motivazioni per attivare iniziative di International Smart Working. A limitarne la diffusione, la difficile gestione fiscale e previdenziale per metà delle organizzazioni che hanno progetti attivi. Una volta avviata l’iniziativa, il principale rischio percepito dalle aziende è la perdita di senso di appartenenza e la riduzione dell’engagement (per il 57% delle grandi imprese), mentre per il 46% delle PMI la preoccupazione è soprattutto la gestione in sicurezza dei dati.

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